“Mi viene spesso chiesto cosa cambierà nel retail nei prossimi 10 anni. Ma quasi nessuno mi chiede che cosa NON cambierà nel retail nei prossimi 10 anni. E io vi posso assicurare che questa seconda domanda è molto più importante della prima, perché le strategie di business funzionano molto meglio se hanno stabilità nel tempo.”
Bezos dixit.
WCW (What Customers Want)
Poco da discutere; già 25 anni fa, quando la sua creatura sbarcava a NASDAQ, il secondo uomo più ricco al mondo, aveva chiaro cosa avrebbe portato Amazon dove si trova ora. Le sue erano politiche di lungo termine, sono quelle che garantiscono stabilità; e queste si perfezionano avendo sempre bene evidente sul mirino il WCW (What Customers Want), che tradotto sarebbe, ottimo prezzo (anzi, basso, guardatevi come sono state modificate le pubblicità di Amazon tra febbraio e maggio di quest’anno ), consegna veloce e assortimento più vasto tra tutti i merchant.
Bezos, sbagliava?
Certo no. Ma il fatto è che 25 anni fa di margini di miglioramento nel retail ce ne erano parecchi: oggi non è più così. I prezzi nel retail sono sotto terra e anche se molti brand hanno deciso di tenersi alti puntando su innovazione di processo e di materiali, rimane il fatto che la maggior parte di quello che consumiamo quotidianamente non può scendere ancora. Per quanto riguarda l’assortimento, qualsiasi cosa che sia retail è già su Amazon: se c’è arrivata Apple, anche con le sventure di questi giorni, probabilmente stiamo per perforare il sottosuolo anche lì (e sotto, non c’è petrolio). Rimane ancora da raschiare il fondo del barile quando si parla di rapidità di consegna. Bezos ha ancora la ‘fissa’ dei droni, un incaponimento che però lascia più di una perplessità: è economicamente apprezzabile il vantaggio di comprimere di 4 o 8 ore una consegna? Bah!
Virtuale: comunicare altri valori. Ma che non siano NFT.
D’accordo, se prezzo, rapidità ed assortimento hanno già il loro campione con la sua teoria di copie sbiadite (guardate AliExpress che bandiera mette a fianco della scritta ‘Italiano’; e per quanto tu scelga EUR come valuta, torna sempre USD ), chi deve vendere qualcosa che non sia una pila ricaricabile o una pentola, ha bisogno di altro. E qui che la virtualizzazione può aiutare utilizzando la realtà virtuale e quella aumentata per creare valori.
Faceboook (pardon… Meta), avrebbe già tracciato una via. Uso il condizionale perché è probabile che quella sia la strada, ma non per tutti. All’inizio la virtualizzazione sarà indirizzata su segmenti di alta gamma, sono troppo alti gli investimenti in termini di programmazione e sviluppo per consentire una platea vasta. E, attenti: a dirla tutta, stiamo ancora parlando del ‘Nulla’, se non di una naturale tendenza a scommettere chi arriverà prima. In ogni caso, Meta riguarderà solo una fetta importante ma contenuta che come tutte le esperienze, diventerà progressivamente più ampia con il semplificarsi delle innovazioni tecnologiche.
Quando palo di Virtuale, non mi riferisco agli NFT e alle scarpe virtuali di Elon Musk o di Gucci: siamo in un altro campo. Parlo di Virtuale come esperienza di acquisto di un bene fisico. E molto probabile che gli NFT si integreranno in un futuro con il prodotto fisico, ma per ora sono solo un sistema per spostare qualche centinaio di milioni di dollari tra conti bancari, non è futuro prossimo.
Chi rimarrà fuori dal Virtuale?
Nessuno, stavolta. Se è stata la GenX la prima a trafficare con smartphone e prepagate per fare acquisti online, la GenY neanche se lo ricorda un mercato fatto di banconi e camerini di prova: si compra, ti arriva a casa, lo metti e se non è ok lo mandi indietro. E sorvolo sulla GenZ dei Fridays for Future.
Tuttavia chi oggi vende, è spesso un GenX quando non un Babyboomer. Per tutti questi, la necessità di comunicare valore passa attraverso sistemi integrati, e quindi Social ma anche forme evolute di commercio elettronico: che non sono e-commerce tradizionale ma non possono essere Meta. Per chiarirci, una specie di Virtuale di Mezzo, un tour virtuale che abbia la capacità di staccarsi dagli strumenti tradizionali e allo stesso tempo non anticipare troppo i tempi con salti nel buio ed investimenti folli.
V-Sell e il Virtuale di Mezzo.
Tanto per darvi un’idea, ho provato a sperimentarlo in V-Sell. V-Sell nasce dall’idea di dare la possibilità a piccoli-medi produttori di creare un proprio store con un’esperienza immersiva mai prima realizzata. Si tratta di creare ambienti facili da individuare e di animarli con i propri prodotti in maniera da conferire ai prodotti stessi il valore aggiunto del negozio virtuale.
Questo scambio di valore, luogo<-> prodotto può essere una frontiera molto semplice ed immediata anche per chi fa retail su grandi superfici. Lanciare un brand che parla di natura, ambientandolo in uno spazio reale dove la Natura sia vera e non costruita al computer: ecco cosa intendo.
L’esempio di cui trovate il link qui vuole proprio darvi questa idea: un tour virtuale in cui un produttore agricolo che produce zafferano in maniera biologica, lo vende in una confezione sostenibile, come può essere della semplice ceramica, impreziosita dal valore aggiunto di un tocco artistico. Il tutto immerso proprio nei luoghi dove quella produzione è nata, che sono luoghi di storia, cura dell’ambiente, attenzione e governo di quella natura che è così bene rappresentata dal prodotto. Luoghi che possono essere virtualmente vissuti prima di essere, per chi vuole, visitati dal vivo.
Questa integrazione tra Realtà e Virtuale può fare la differenza per qualsiasi tipo di prodotto locale, che sia alimentare ma non solo.
Qualche esempio? Un virtual tour su prodotti di bellezza, abbigliamento con fibre vegetali naturali, strutture ricettive, artigianato locale, attrezzature turistiche.
Insomma, esiste un modo di utilizzare la virtualizzazione per introdurre un territorio ed un valore connesso con esso: che poi, è l’esatto opposto delle scarpe NFT di Elon Musk.